|
Descrivi la tua città
Apro la finestra della mia camera
che dà sulla mia città, Cesano Boscone. Nelle strade deserte passa furtiva
qualche gatta che, silenziosa scompare lasciando sola la via. L’aria della
solitudine aleggia fino all’apertura della mia finestra, come un veleno senza
antidoto, ma io ci sono abituata e la conosco bene; per fronteggiarla basta
guardare il cielo, un cielo limpido e infinito dove mi perdo, per quanto?
Minuti, ore, giorni…ma gli alti grattacieli bloccano sempre la mia vista
all’infinito: quei grigi mostri che hanno rubato la casa agli alberi e alla
fresca erba verde per cui avevano dato il nome di Cesano Boscone a questa
città, che ora rimane solo Cesano. Passa qualche persona e non ne riconosco
una, in effetti, qui non conosco quasi nessuno, né mi interessa di
conoscerne; la mia vera casa non è qui, ma nella mia scuola. Dopo tredici
anni mi sento ancora estranea alle viette pavet che portano alla mia chiesa
San Giovanni Battista, all’oratorio pieno di ragazzi che non conosco e che
non emettono un suono al mio passaggio.
La mia città sembra avere quattro
facce. D’inverno triste, vecchia, sporca; di primavera radiosa, profumata,
dolce; d’estate occupata, assetata, lunatica e d’autunno pensierosa,
imbronciata e fastidiosa. Al cambiare dell’aspetto della città cambio
anche io, come un cavallo che cambia direzione al comando del cocchiere: non
ho più libertà. E cosa fare? Non posso scappare perché qui c’è la mia
famiglia, non posso guardare in cielo perché me lo soffocano i palazzi, non
posso far cambiare l’inverno in primavera quando voglio io. Posso solo
sognare e disegnare le colline e scrivere delle campagne, posso correre in
giardino e guardare i fiori, immaginandomi di essere nella foresta pluviale a
saltare da una liana all’altra sperando che l’estate arrivi in fretta per
andare al Creelone, il paesino di montagna dove ho la casa e il cuore.
Camminando per le vie un gruppo di
ragazzi passa scherzando e tra una parolaccia e l’altra si divertono; gli
uomini in giacca e cravatta parlano nell’auricolare e, in una corsa
frenetica, vanno dove hanno tanta paura di fare tardi; delle signore portano
dei malati sulla carrozzella a vedere la lugubre città che espone con tanta
disinvoltura i resti di una casa in macerie e che non può che offrirgli un
triste, malinconico sorriso. Ma non è sempre così: Cesano si comporta
diversamente ogni volta che la vedo. Una volta mi dona tristezza nell’opaca
nebbia, una volta mi dona sollievo al caldo chiaror del sole, una volta mi
sorprende con vie ancora sconosciute e con persone che mi salutano con gli
occhi senza sapere chi sono, una volta mi dona amicizia nella calura
dell’oratorio feriale e una volta mi dona amore in un angolino del parco
baciato dai petali degli alberi di pesco. Ti ringrazio per ogni momento dato,
Cesano, anche se qualche volta ti odio tanto perché io sogno i prati, le
colline e l’aria fresca che qua viene soffocata dalla noia di giornate uguali
davanti alla mia finestra che guarda la città di pietra, anzi, d’asfalto.
|
Поиск по этому блогу
пятница, 2 января 2015 г.
L"Italiano // Conversazione // II anno // La mia citta
Подписаться на:
Комментарии к сообщению (Atom)
Комментариев нет:
Отправить комментарий